Io capisco che le redazioni sono in crisi e i viaggi costano, ma certo che un reportage a un benzinaio di Corso Francia...Me le immagino le dichiarazioni del barista: "Carminati? Prendeva sempre il caffè al vetro".
Se l'agenda setting finisce sotto la gamba traballante della scrivania dell'informazione
Pagine
martedì 16 dicembre 2014
giovedì 13 novembre 2014
Profumo d'intesa
Che sia stretto tra Obama e Xi Jinping o - con le dovute proporzioni - tra Renzi e Berlusconi, la parola del giorno è indubbiamente "intesa"
mercoledì 5 novembre 2014
mercoledì 29 ottobre 2014
E se il futuro del giornalismo parlasse olandese?
“Il grande giornalismo merita una grande esperienza di lettura”.
È questa l’idea che ha dato impulso e vita a Blendle, una start up olandese si
descrive come l’iTunes del giornalismo.
La piattaforma online di Blendle,
sebbene sia stata lanciata solo sei mesi fa, ha già stipulato contratti con la
maggior parte degli editori di giornali e riviste dei Paesi Bassi e del Belgio,
oltre ad aver recentemente firmato anche un accordo con l’editore
dell’Economist.
A Blendle, come si legge sul sito,
odiano i paywall. Fanno registrare ad ogni quotidiano online che vogliamo
leggere. Fanno pagare abbonamenti mensili, anche per contenuti che non
leggeremo mai. In Blendle, l’approccio è diverso: gli utenti pagano solo
per il singolo articolo e, se non lo trovano interessante, o all’altezza delle
aspettative, vengono rimborsati. I lettori hanno inoltre la possibilità di
vedere quali articoli leggono i loro amici o personaggi noti, oppure
concentrarsi su un unico topic.
Blendle ha 130.000 utenti nei
Paesi Bassi, il 20% dei quali si sono aggiunti dopo il periodo di prova. Gli
articoli costano in media 20 centesimi e agli editori vanno il 70% delle
entrate. Il 60% degli utenti ha tra i 20 e i 30 anni.
La startup ha catturato
l’attenzione dei grandi editori di giornali negli Stati Uniti e in Europa,
molti dei quali sono alle prese con il calo delle vendite e la diminuzione dei
ricavi dalla pubblicità. Due nomi su tutti: New York Times Co. e l’editore
Tedesco Axel Springer, i quali hanno sottoscritto un accordo per investire 3,8
milioni di dollari (3 milioni di Euro) in Blendle, come riportato dal Wall
Street Journal. In questo modo i due si sono assicurati il 23% della start
up, quotata circa 13 milioni di Euro.
Alexander
Klöpping, co-fondatore ventisettenne di Blender, ha affermato che
l’investimento (di cui si da ampia visibilità sul sito) potrebbe fare da
propulsore per un’espansione in Europa. “L’approdo in Germania costituirebbe un
passo naturale, ma va anche valutata la volontà degli altri editori di stare al
passo”, ha dichiarato. “La massa critica è importate”, ha poi aggiunto.
Come raccontato dall’ex cronista
del Washington Post Robert G.Kaiser, su The
Brookings Institution, un dato in particolare riflette il declino della
stampa tradizionale: la raccolta pubblicitaria dei giornali di tutta l’ America
è scesa dai 63,5 miliardi dollari del 2000 ai circa 23 miliardi dollari del
2013, ed è ancora in calo.

Se questo approccio ha funzionato
per la pubblicità, hanno pensato a Blendle, dove sono “estremamente contrariati
sulla direzione presa dall’industria del giornalismo”, potrebbe funzionare
anche per le notizie. Se il loro sia un sistema di successo, in grado di
tracciare un nuovo modo di fruire l’informazione, è ancora presto per dirlo. Di
sicuro, si propone come un’innovazione di un mondo (quello del giornalismo) che
non può ancora a lungo continuare sullo stesso sentiero.
mercoledì 15 ottobre 2014
Le bufale al tempo di internet: conviene produrle o smascherarle?
“Gengis Khan ha dormito con così tante donne che oggi 1
persona su 200 è suo parente”; “Mike
Tyson è stato arrestato 38 volte da quando ha compiuto i 13 anni”; “Il
Megalodon non si è mai estinto e nuota ancora negli oceani”.
Queste sono solo alcune di una serie di notizie che è difficile
stabilire se siano vere o clamorose “bufale”; di certo c’è una sola cosa: che
fanno il giro del web e compaiono nelle bacheche e negli account di milioni di
profili social, salvo poi essere smentite qualche giorno dopo. Ormai internet
sembra essere diventato il terreno adatto dove coltivare, spesso ad arte,
notizie false (gattini
che ereditano ville all’Olgiata e patrimoni da capogiro, popstar
planetarie in punto di morte, ecc), e il confine tra notizia curiosa (ma
vera) e bufala clamorosa sembra essere diventato sempre più labile.

Dal lato opposto, però, c’è chi si sta organizzando proprio
in senso contrario: è un programma che vuole “smascherare” le bufale che
circolano in Rete e, in particolare, su Twitter. Si chiama Pheme, ed è finanziato dall’Unione Europea. Il
progetto è stato ispirato dal lavoro del professor Rob Procter dell’Università
di Warwick che esaminò il boom di messaggi su Twitter dopo i “riot”, esplosi a
seguito dell’uccisione da parte della polizia di un giovane di colore, a
Londra, nel 2011.

mercoledì 8 ottobre 2014
martedì 7 ottobre 2014
mercoledì 1 ottobre 2014
Siamo tutti un po' PR specialist
Un illuminante articolo del Financial Times mette in luce come negli ultimi anni siano cresciuti in maniera esponenziale i PR specialists (addetti stampa, in italiano) mentre si è assistito ad un graduale e costante calo dei giornalisti "tradizionali".
Il motivo? retribuzioni più alte per chi lavora nelle agenzie di relazioni pubbliche e l'incertezza del mondo dell'editoria. Non sono pochi i giornalisti che, valutando questi due fattori, decidono di "passare dall'altra parte della scrivania".
Il trend è così consolidato che oggi ci sarebbero 4,6 addetti stampa per ogni reporter, mentre dieci anni fa il rapporto era di 3,2 a uno.
Stessa storia per i salari: un pr specialist guadagna in media, in un anno, 54.940 dollari, contro i 35.600 di un reporter.
Con le dovute proporzioni, questo schema può essere applicato anche in Italia: i giornalisti (tranne i "privilegiati") lavorano gratis; gli addetti stampa (con qualche anno di esperienza, non "guru" della comunicazione) riescono invece a racimolare qualche euro grazie a contratti precari.
Impossibile dire fino a quando la tendenza durerà. Uno dei fattori principali da tenere in considerazione è quale evoluzione prenderà il mondo dell'editoria tradizionale. C'è chi ha profetizzato che in Italia i giornali scompariranno definitivamente nel 2027, ma questa è un'altra storia.

Il trend è così consolidato che oggi ci sarebbero 4,6 addetti stampa per ogni reporter, mentre dieci anni fa il rapporto era di 3,2 a uno.
Stessa storia per i salari: un pr specialist guadagna in media, in un anno, 54.940 dollari, contro i 35.600 di un reporter.
Con le dovute proporzioni, questo schema può essere applicato anche in Italia: i giornalisti (tranne i "privilegiati") lavorano gratis; gli addetti stampa (con qualche anno di esperienza, non "guru" della comunicazione) riescono invece a racimolare qualche euro grazie a contratti precari.
Impossibile dire fino a quando la tendenza durerà. Uno dei fattori principali da tenere in considerazione è quale evoluzione prenderà il mondo dell'editoria tradizionale. C'è chi ha profetizzato che in Italia i giornali scompariranno definitivamente nel 2027, ma questa è un'altra storia.
martedì 30 settembre 2014
giovedì 25 settembre 2014
giovedì 18 settembre 2014
giovedì 4 settembre 2014
mercoledì 3 settembre 2014
giovedì 7 agosto 2014
mercoledì 28 maggio 2014
Lo stile delle elette


Premesso che né la Mussolini né tantomeno la Bresso (per essere bipartisan) mi sembrano campionesse fashion, l'operazione altro non è un tentativo - malriuscito - di mascherare pubblicità per case di moda o celebri brand di abbigliamento. Della serie: " ti piace il pullover della Moretti? Lo trovi da H&M a 9,99 Euro", senza contare poi che alcuni accostamenti (vedi foto in basso) risultano veramente poco convincenti (Mercedes Bresso ne sa di stile quanto Giuliano Ferrara di dieta Dukan).
Resterà deluso chi pensava si parlasse di stile politico delle neo elette. Ma quello, in fondo, a che serve?
mercoledì 29 gennaio 2014
Ah, la logomachia

Data la sua ambiguità, non sembrerebbe essere troppo sintonizzato sul mercato italiano, circostanza a volte pericolosa, come dimostra il logo sfornato inizialmente per il mercato spagnolo dai creativi (di nuovo: eufemismo) della Calgon.
Un'opera che a mio avviso resta insuperabile.

martedì 28 gennaio 2014
giovedì 23 gennaio 2014
Lo strano caso del dottor Matteo e di Mr Cavezzali
leggo il tuo articolo sul fattoquotidiano.it dedicatoagli italiani all’estero e, nel farlo, mi viene spontaneo domandarmi: ma è
la stessa persona che ha scritto il post sui giornalistiitaliani che mollano i giornali?
Me lo chiedo perché quell’articolo mi aveva colpito.
Mi ci ero
riconosciuto, avendo condiviso molti dei sentimenti delle persone di cui
racconti le scelte, le aspirazioni, le decisioni. Denotava una certa
sensibilità, oltre ad un’abilità nel fotografare l’immagine di un Paese che non
sa valorizzare i suoi giovani migliori.
Prima di leggere il tuo pezzo sugli italiani all’estero,
avevo seguito i commenti (la maggior parte poco lusinghieri, a onor del vero)
che arrivavano al tuo post attraverso i social media. E, con mia stessa
sorpresa, mi sono trovato a condividerli (se non tutti, alcuni).
Sembra davvero, come molti lettori accusano, la “quintessenza
del pregiudizio che corre sulla Rete”, uno dei più difficili sia da smorzare
che da confutare. Il fatto poi, che tu stesso ammetti di “aver chiesto in giro”,
non ha di certo aiutato a far percepire il tuo articolo come frutto di un’indagine
approfondita ma – al contrario – fa pensare ad un commento superficiale e
(spero) volutamente provocatorio.
Perché una provocazione può anche far bene, mentre è brutto
etichettare come un disadattato che esce solo con altri italiani e non paga il
biglietto del tram chi all’estero è stato “costretto” ad andare – da un Paese
che delle sua abilità non sa che farsene, da una classe dirigente non
intenzionata a far spazio ai giovani, da un sistema che non solo tollera ma
incentiva la precarietà – Conosco tante
persone che da anni vivono e lavorano all’estero e posso assicurarti che non
sono così. Stanno dalla parte dei “buoni” insomma, proprio come i tuoi amici ai
quali ti riferisci alla fine dell’articolo.
E pazienza se quando sono Italia si lamentano. Avrà pure il
diritto, quando tornano a casa, di dire che fuori si vive meglio. Lo fanno con
lo stesso spirito di chi desidera tanto una cosa ma non riesce ad ottenerla, e
perciò dice che non gli piace.
E, infine, scusali se durante le feste si abbuffano di
lasagne e tortellini: prendono il meglio che questo Paese ha ancora da offrire.
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