“Gengis Khan ha dormito con così tante donne che oggi 1
persona su 200 è suo parente”; “Mike
Tyson è stato arrestato 38 volte da quando ha compiuto i 13 anni”; “Il
Megalodon non si è mai estinto e nuota ancora negli oceani”.
Queste sono solo alcune di una serie di notizie che è difficile
stabilire se siano vere o clamorose “bufale”; di certo c’è una sola cosa: che
fanno il giro del web e compaiono nelle bacheche e negli account di milioni di
profili social, salvo poi essere smentite qualche giorno dopo. Ormai internet
sembra essere diventato il terreno adatto dove coltivare, spesso ad arte,
notizie false (
gattini
che ereditano ville all’Olgiata e patrimoni da capogiro,
popstar
planetarie in punto di morte, ecc), e il confine tra notizia curiosa (ma
vera) e bufala clamorosa sembra essere diventato sempre più labile.

C’è chi, intorno alle “bufale” ha costruito una professione:
lui è
Kris Sanchez, ventitreenne di
New York, che “fattura” 560.000 Euro all’anno twittando ai suoi circa 7 milioni
di followers 60-70 news al giorno di dubbia provenienza. Il metodo di guadagno?
Semplice: ai tweet, ogni tanto, viene aggiunto il link di uno sponsor, che gli
frutta da 1 a 3 cent per ogni click.
Dal lato opposto, però, c’è chi si sta organizzando proprio
in senso contrario: è un programma che vuole “smascherare” le bufale che
circolano in Rete e, in particolare, su Twitter. Si chiama
Pheme, ed è finanziato dall’Unione Europea. Il
progetto è stato ispirato dal lavoro del professor Rob Procter dell’Università
di Warwick che esaminò il boom di messaggi su Twitter dopo i “riot”, esplosi a
seguito dell’uccisione da parte della polizia di un giovane di colore, a
Londra, nel 2011.

Il programma, che vuole “stanare” le bugie su Twitter,
classifica i ‘rumor’ online in quattro categorie:
speculazione,
controversia,
informazione sbagliata e
disinformazione. Una sorta di macchina
della verità online diversa dal fact-checking, che è un’attività ‘cooperativa’
realizzata da persone che spulciando dati e informazioni possono certificare
insieme una determinata notizia. Pheme mette in fila anche le fonti per
valutare lo loro autorevolezza: esperti, giornalisti, testimoni oculari, cittadini
comuni. Il software esamina il background della fonte e la sua storia (i post
pubblicati in passato) per individuare gli account Twitter creati
esclusivamente per diffondere false informazioni. Incrociando questi dati Pheme
rimanda il risultato ad un programma visuale (dashboard) per capire anche
l’andamento delle conversazioni su una determinata notizia. Chi avrà la meglio? Per ora, sul nobile intento di Pheme, sembrano avere la meglio le "curiosità" di Mr. Sanchez. Almeno vedendo quello che circola in Rete.