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mercoledì 28 gennaio 2015

Riflessioni semiserie sulla relazione Salvini-Isoardi

Povero Matteo Salvini. Tutti a sparare contro la sua relazione con Isabella Isoardi. Basta dare un’occhiata sui social per trovare una lunga lista di commenti impietosi: “Se la Isoardi è arrivata a stare con Salvini per il suo cervello, pensate a quanto deve avercelo piccolo”; “Isoardi: ‘Per me in un uomo è importante il cervello’ Qualcuno le spieghi che ‘cervello’ e ‘Salvini’NON
vanno MAI nella stessa frase!”.

E ancora: “La #Isoardi ammette il flirt con #Salvini. Davanti alle insistenze dello psicanalista”.

Ora a me tutto questo pare un po’ esagerato e, per la mia volta in vita mia, sto dalla parte di Salvini. Il perché? Perché si sa che quando un è innamorato vede tutto da una prospettiva diversa, percependo il mondo in modo migliore di come non lo sia in realtà.

E allora ben venga la Isoardi se riesce a far cambiare a Salvini i suoi inossidabili punti di vista: magari l’Euro non gli farà più cosi schifo quando lo userà per offrile una cena, i meridionali non saranno più così terribili e “terroni” quando si troverà a fare una passeggiata a Napoli o nel centro di “Roma Ladrona”. Forse sarà anche meno rabbioso e incazzato se gli bocceranno un’altra proposta di referendum per abrogare la legge Fornero e persino l’egiziano che incontrerà alle Colonne di S.Lorenzo non verrà più bollato come “pericoloso immigrato clandestino potenziale terrorista” e magari, quando gli porgerà la rosa, gliela comprerà pure. Disprezzandolo poco poco, in maniera intima e quasi impercettibile.

Lo so, è un’utopia. Ma, come dice il proverbio: “Quando il caso è disperato, la provvidenza è vicina”.

Che poi la provvidenza sia la Isoardi è un altro discorso.

giovedì 8 gennaio 2015

Libero e quell'irrefrenabile voglia di Safari




Siamo o non siamo Charlie?


Sin dalle prime ore successive al tragico attentato al giornale satirico parigino, la Rete prima – e i giornali poi – hanno espresso solidarietà e sostegno al grido di “Siamo tutti Charlie”. Ma lo siamo davvero? No, probabilmente.

I perché sono ben spiegati da un post di Cas Mudde su opendemocracy e possono essere riassunti così:


1) NON SIAMO CHARLIE perché la testata da sempre pone la lente satirica su tutte le religioni, tutte le razze, tutte le classi politiche. Questo, di conseguenza, li ha portati ad essere criticati da tutti. Ed essere attaccati da tutti  - a molti, se non a tutti – non piace.

2) NON SIAMO CHARLIE perché troppo spesso siamo convinti che il dibattito – e la satira – debbano essere “civili” e, di conseguenza, non infastidire troppo. Ma cos’è che infastidisce? E chi può comprendere l’impalpabile grado di fastidio tra un vignetta satirica sulla propria religione e un tifoso per uno sfottò sulla sua squadra del cuore?

3) Molte persone NON SONO CHARLIE perché devono fare i conti con la paura. Stephane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo rimasto ucciso ieri nell’attentato, ha dichiarato: “Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”. Quanti altri giornalisti, reporter, professionisti dell’informazione potrebbero dire lo stesso, oggi, e vivere di conseguenza?


La lista, ovviamente, potrebbe essere molto più lunga, com’è altrettanto ovvio che questo post non vuole essere una critica alla solidarietà espressa, ma solo una riflessione sulle parole scelte per esprimerla. Va presa, forse, come un’incitazione. Perché NON SIAMO CHARLIE, ma dovremmo esserlo (anche solo un po' di più)
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