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martedì 15 settembre 2015

Piccola analisi dell'addio a Twitter

C’è modo e modo per uscire di scena, e ognuno sceglie quello che preferisce. C’è il modo intellettuale, quello paraculo, quello forzato.
In principio fu Michele Serra, che in un'Amaca particolarmente del 2012 velenosa e anche molto snob annunciò il suo addio al mezzo. Giudizi troppo drastici e sommari, scrisse; “nessuna variante dialettica che spostasse il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche”.  E tanti saluti.

Poi venne il più pacato Augias, pure lui giornalista di Repubblica. Parole diverse, ma il concetto era quello. Perché “140 caratteri spazi inclusi in una lingua polisillabica come la nostra sono troppo pochi”. Bollò Twitter come strumento di comunicazione scadente e passatempo insoddisfacente, augurò “good luck” a tutti, invitando gli interessati a cercalo su Repubblica.



Infine (anche se nel mentre ci sono stati moltissimi altri casi, non sempre riportati dalle cronache), la Gerini. È alla stazione Termini, i taxi non si trovano, per ingannare l’attesa prende il telefono e twitta: “Che schifo i taxi a Roma”. Apriti cielo. Si dice offesa dagli insulti e poi anche lei annuncia il suo ritiro dal mezzo, salutando i suoi 226.000 follower con un #salutiebaci che fa capire che a lei, in fondo in fondo, Twitter un po’ piaceva. Insomma, per parafrasare Michele Serra potrei dire che se dovessi twittare il concetto di questo post scriverei “mi fanno i schifo i post sull’abbandono di Twitter”. Io però twitto…