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domenica 11 agosto 2013

Relazioni pubbliche e Vaticano, il tweet logora chi lo fa


I fondamentali del mestiere di chi si occupa di relazioni pubbliche imporrebbero di conoscere bene i propri strumenti del mestiere. Non si tratta di una richiesta esosa, é un po' come pretendere che Cristiano Ronaldo sia bravo a tirare i calci d'angolo (si badi bene - i calci d'angolo - non le punizioni). 
Detto questo, ha del clamoroso il comportamento di Francesca Chaoqui: trentenne, "astro nascente" delle relazioni pubbliche, ai vertici per anni della società di consulenza Ernst&Young. 
Per gli innegabili meriti, è stata chiamata a far parte della Commissione voluta da Papa Francesco per far luce sulle ombre delle IOR. Peccato che qualche tempo prima avesse espresso giudizi non proprio lusinghieri - attraverso il suo account Twitter - proprio sullo IOR, non lesinando giudizi negativi e sprezzanti sul Cardinal Bertone e l'ex Ministro dell'Economia Giulio Tremonti. 
Risultato? Profilo rimosso ma tweet sempre disponibili sul web poiché la Rete non restituisce nulla all'oblio (questo il concetto da tenere sempre a mente), al contrario di come avviene con certi peccatucci commessi all'ombra del Cupolone. 

giovedì 8 agosto 2013

Bezos-Washington Post, quando le vie del lobbying sono infinite

Guardando all’ultimo acquisto di Bezos, tycoon fondatore di Amazon, mi è venuto spontaneo chiedermi: perché un “nativo digitale”, uno che ha contribuito al superamento tuttora in atto della carta stampata a favore del digitale, torna sui suoi passi e compra il glorioso Washington Post, che sulle sue colonne ha ospitato uno dei più famosi e “romantici” scoop della storia del giornalismo?


Bezos non ha un’esperienza diretta nel giornalismo, ha comprato la testata per una cifra tutto sommato modesta (250 milioni di dollari) e non è attivo in politica. Almeno per ora. 

Nel recente passato ha elargito finanziamenti sia ai democrat per il sostegno ai matrimoni gay che ai conservatori per l’abbassamento della pressione fiscale. Uno stratega trans-oceanico dunque. Da noi un probabile cerchiobottista.

Subito dopo l’acquisto ha scritto ai dipendenti, per tranquillizzarli: “ I valori del Post non dovranno cambiare, continueremo a seguire la verità dovunque porti e lavoreremo sodo per non fare errori".
Il bello è che ora si è scatenato il prossimo toto-acquisto. Chi sarà il prossimo? Birkin&Page “regaleranno” a Google un souvenir cartaceo, o lo farà prima la Apple? O perché no Zuckerberg?
Quello che sembra chiaro, almeno in un primo momento, è che le vie del lobbying non hanno fine. Anche se bistrattati, antichi, costosi, i quotidiani restano ancora oggi il mezzo più potente (oltre alla tv) sul quale si mandano messaggi ai politici, si “guidano” opinioni, si formano critiche. Forse si tratta solo di un esperimento di compenetrazione analogico-digitale fatto da un magnate annoiato che ha voluto provare il brivido di essere un editore e che ha deciso di partire dalle basi per capire i trend futuri.

O forse no, ma solo il futuro orientamento del Post potrà svelare (almeno una parte) della strategia. 

venerdì 2 agosto 2013

L'ultima copia del New York Times? Sarà digitale

Secondo i calcoli di Philip Meyer, studioso dell'editoria americana, l'ultima sgualcita copia su carta del "New York Times" sarà acquistata nel 2043. La crisi di vendite che affligge i quotidiani da una ventina d'anni lascia pensare che la previsione sia realistica, se non addirittura ottimistica. Ma di chi è la colpa (ammesso che un colpevole ci sia?). Editori e giornalisti tendono ad attribuirsela reciprocamente. Ma il vero nemico dei giornali cartacei, quello che li sta inesorabilmente condannando a morte, è la tecnologia. Il tempo a disposizione della gente è diminuito, e ognuno di noi ha ormai la possibilità di essere informato quando vuole, dove vuole e sui temi che preferisce senza dovere per forza ricorrere alla lettura di un giornale. I tempi dunque sembrano essere inconciliabili, se si pensa che per leggere interamente una copia del NYT ci vogliono 24 ore.
In questo quadro catastrofico però, c’è una buona notizia: al New York Times crescono i profitti, proprio grazie al digitale. Gli abbonamenti online del più prestigioso quotidiano mondiale sono cresciuti del 40% nel secondo trimestre 2013, toccando quota 738 mila (699 mila unità per Nyt e International Herald Tribune e 39 mila per Boston Globe). Un risultato che per l'amministratore delegato Mark Thompson "riflette la continua evoluzione delle iniziative digitali, l’attenzione alla gestione dei costi e il moderato calo delle entrate pubblicitarie”.

Tanto buona l’intuizione, che si replica immediatamente anche oltre oceano, nel Vecchio Continente.  Oggi, infatti, debutta la versione online del The Sun a pagamento. Per gli utenti ‘Sun+’, la nuova piattaforma digitale costerà due sterline a settimana. Una rivoluzione, in tutti i sensi. Preludio del declino inesorabile del giornale cartaceo? Troppo presto per dirlo, anche se appare certo già da adesso che – su carta o in digitale – l’informazione (forse quella di migliore qualità) sopravviverà.